Cassazione Civile, Sez. II, sentenza 20/10/2016 n. 21297
Attenzione ai ricorsi in Cassazione troppo lunghi e ridondanti: rischiano di essere dichiarati inammissibili. E’ quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, nella sentenza del 20 ottobre 2016, n. 21297.
Nella vicenda processuale in esame, il ricorrente propone un ricorso in cassazione di ben 250 pagine. In particolare, il faraonico gravame si presenta come una mera trascrizione di stralci di atti processuali e documenti dei precedenti giudizi di merito, senza, tuttavia, contenere neanche l’ombra della “esposizione dei fatti della causa”, di cui all’articolo 366 c.p.c., n. 3.
La corte, quindi, trovando il ricorso troppo prolisso, lo dichiara inammissibile per la palese violazione dei principi di sinteticità e chiarezza.
Il Supremo Collegio, infatti, aderendo al proprio consolidato orientamento, chiarisce che il requisito di cui all’articolo 366 c.p.c., n. 3, postula una descrizione dei fatti volta a riassumere sia la vicenda sostanziale dedotta in giudizio, sia lo svolgimento del processo, in modo da consentire la piena comprensione e valutazione delle censure mosse alla sentenza impugnata.
Il mancato rispetto del dovere processuale della chiarezza e della sinteticità espositiva espone il ricorrente per cassazione al rischio di una declaratoria d’inammissibilità dell’impugnazione, in quanto esso contrasta con il fine di assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa di cui agli artt. 24 Cost., 111 Cost., comma 2 e all’art. 6 CEDU.
L’inammissibilità, precisano gli ermellini, non è però automatica! Nel codice di procedura civile, infatti, una espressa prescrizione di sinteticità è prevista solo per gli atti del giudice (articoli 132 e 134 c.p.c. e articolo 118 disp. att. c.p.c.); per gli atti di parte opera il principio della libertà delle forme, fissato in via residuale dall’articolo 121 c.p.c. Il principio di sinteticità degli atti processuali (tanto del giudice quanto delle parti) è, invece, presente nel nuovo processo amministrativo (approvato con il Decreto Legislativo n. 104/110).
Tale principio, tuttavia, osservano i giudici della Corte, è destinato ad operare anche nel processo civile, sebbene non sia prevista una specifica sanzione processuale normativa della prolissità e oscurità degli atti di parte, come invece è previsto in altri sistemi giuridici.
Dalla Svizzera agli Stati Uniti, infatti, il legislatore si è posto il problema di mettere un freno alla lunghezza degli scritti difensivi, preoccupandosi addirittura, in alcuni casi, di fissare il limite massimo dei caratteri di ogni atto giudiziario.
In Italia, nulla di ciò è avvenuto, sostengono gli ermellini, pur evidenziando come siano stati fatti degli sforzi in tale direzione mediante il protocollo Cassazione/CNF del 17.12.15, che, indica i limiti dimensionali degli atti difensivi davanti alla Suprema Corte, ma che tuttavia non prevede l’inammissibilità o l’improcedibilità del ricorso, ove tali limiti vengano superati.
Pertanto, conclude la Corte, in assenza di una previsione normativa espressa, la violazione del principio di sinteticità, se non determina l’inammissibilità del ricorso per cassazione, “espone al rischio” di una declaratoria d’inammissibilità dell’impugnazione.
Fonte: http://www.altalex.com/documents/news/2016/11/07/ricorso-in-cassazione-prolisso-e-inammissibile
Foto: http://www.cortedicassazione.it/corte-di-cassazione/