Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, nella sentenza n. 21691/16, depositata il 27 ottobre 2016.
E’ consentito impugnare la sentenza per violazione di legge per norme emanate dopo la pubblicazione della sentenza, purchè dotate di efficacia retroattiva. E’ quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, nella sentenza n. 21691/16, depositata il 27 ottobre 2016.
Nella vicenda in esame, una dipendente aveva convenuto l’azienda presso cui lavorava in quanto sosteneva di esser stata assunta con contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, stipulati in violazione dell’art. 1 della legge 230 del 1962 ; pertanto chiedeva che venisse accertata la natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro a decorrere dal primo contratto, con relativa reintegrazione nel posto di lavoro e risarcimento del danno patito.
Il Tribunale adìto ha dichiarato la nullità di alcuni contratti, condannando la convenuta al pagamento delle retribuzioni maturate dalla notifica del ricorso. Avverso tale sentenza, sia l’azienda che la lavoratrice, hanno proposto appello.
La Corte territoriale di Roma, con una prima sentenza non definitiva, ha accolto parzialmente l’appello incidentale della dipendente, dichiarando la nullità anche degli altri contratti e, con una seconda, definitiva, in accoglimento del motivo di appello incidentale, ha riconosciuto il diritto della stessa al trattamento economico e normativo delle mansioni svolte da un determinato periodo in poi, condannando la società alla corresponsione delle relative differenze retributive. L’azienda ha presentato ricorso per cassazione, avverso entrambe le sentenze.
La sezione lavoro, con un’ordinanza interlocutoria, ha rimesso la controversia al primo presidente per l’eventuale assegnazione alle sezioni unite, in quanto la richiesta di applicazione da parte della ricorrente della norma ex art. 32 della Legge n. 183 del 2010, emanata dopo la pubblicazione della sentenza di appello ma prima della notifica del ricorso per cassazione, dava luogo ad una problematica su cui vi sono orientamenti contrastanti. Dunque il primo presidente ha disposto l’assegnazione alle Sezioni Unite.
Nel ricorso proposto, specificamente con il quinto motivo, la ricorrente aveva chiesto l’applicazione dell’art. 32, commi 5-7, della Legge 4 novembre 2010, n. 183, che modificava la disciplina del risarcimento del danno in caso di contratto a termine illegittimo. Tale norma è entrata in vigore il 24 novembre 2010, quindi dopo la sentenza di appello ma precedentemente alla richiesta di notifica del ricorso per cassazione.
In materia di efficacia della legge nel tempo, il principio cardine è espresso dall’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale del codice civile, secondo cui: “La legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”. Tuttavia tale disposizione consente delle deroghe. In particolare, rileva che, nel caso in esame, la norma sopravvenuta, al settimo comma dell’art. 32, L. n. 183 del 2010, prevede che “le disposizioni di cui ai commi 5 e 6 trovano applicazione a tutti i giudizi, ivi compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge”.
Orbene, la Corte ha ammesso l’applicabilità della norma sopravvenuta al giudizio di legittimità, in quanto nel concetto di giudizi pendenti rientrano anche quelli in cui la pendenza deriva dalla proposizione o proponibilità del ricorso per cassazione (Cass., 31 gennaio 2012, n. 1409) ed anche quelli in cui la Cassazione si è pronunciata con rinvio al giudice di merito e quest’ultimo non ha ancora definito il giudizio (Cass., 2 marzo 2012, n. 3305 e 4 febbraio 2015, n. 1995).
Altra questione affrontata dai giudici di legittimità è se la violazione di norme di diritto, di cui n. 3 dell’art. 360 c.p.c., riguarda solo le norme vigenti al momento della decisione impugnata o anche quelle emanate successivamente purchè dotate di efficacia retroattiva.
La Cassazione ha riportato due orientamenti contrastanti; un primo indirizzo ritiene possibile richiedere direttamente, con uno specifico motivo di ricorso, l’applicazione della nuova disciplina retroattiva; mentre secondo un altro, ciò non sarebbe possibile in quanto la proposizione del ricorso per cassazione presuppone necessariamente la denunzia di un vizio della sentenza di merito, vizio che non può consistere nella violazione di una legge che al momento della sentenza non era stata ancora emanata. La Corte ha precisato che si delinea la violazione di legge anche quando vi sia un contrasto tra il provvedimento giurisdizionale e una norma di diritto applicabile ratione temporis al rapporto dedotto in giudizio. Dunque è legittimo proporre un ricorso per cassazione anche avverso una sentenza in cui il giudicante abbia correttamente applicato la legge all’epoca vigente, ma sia sopravvenuta una nuova legge con efficacia retroattiva.
Pertanto, i giudici di legittimità hanno specificato che la legge retroattiva costituisce il parametro del giudizio sulla violazione di legge ai sensi dell’art. 360 n. 3, c.p.c., ed il ricorso per cassazione può essere proposto anche solo per censurare la violazione della legge nuova.
La Corte, ha inoltre affermato che la nuova legge con efficacia retroattiva deve essere applicata nei processi in corso anche se intervenuta dopo la notifica del ricorso per cassazione e quindi senza che il ricorrente abbia potuto formulare un preciso motivo di ricorso, in quanto anche la Cassazione deve applicare il principio iura novit curia.
Altro aspetto esaminato, attiene ai limiti che la legge retroattiva sopravvenuta incontra a causa del giudicato. A tal riguardo, si registrano due diversi orientamenti; il primo indirizzo (Cass., 17 marzo 2014, n. 6101) sostiene l’esistenza di un limite all’applicabilità della nuova legge retroattiva ai giudizi in corso, rappresentato dal giudicato interno della sentenza, che deve ritenersi formato qualora un determinato capo della pronuncia di primo grado, non sia stato impugnato; secondo un altro orientamento (Cass., 28 marzo 2012, n. 5001; cfr. Cass., 8 gennaio 2015, n. 85), non si è formato il giudicato interno perché, l’eventuale accoglimento degli altri motivi di gravame, quali risultanti dalla sentenza impugnata, avrebbe determinato la caducazione anche delle statuizioni non contestate espressamente. La Cassazione ha condiviso quest’ultima soluzione, secondo cui, se i capi della domanda sono tra loro strettamente connessi, ovvero se vi è un capo principale, dal cui accoglimento deriva la sorte degli altri da esso dipendenti, quando il principale viene accolto, anche gli altri seguiranno la medesima sorte. Viceversa, se quel capo verrà rigettato, conseguentemente anche gli altri verranno rigettati.
A tal riguardo, la Cassazione ha poi considerato l’ipotesi del concetto di acquiescenza parziale, indicata nell’art. 329 c.p.c., secondo comma, “l’impugnazione parziale importa acquiescenza alle parti della sentenza non impugnata” . Tale previsione si verifica quando le parti della sentenza non siano tra loro collegate da un nesso per cui l’impugnazione della parte principale se accolta comporta l’automatico e necessario venir meno di altre parti. Infatti, il principio enunciato dall’art. 329 c.p.c., comma 2, può valere solo per i capi della sentenza autonomi e indipendenti da quello impugnato, mentre, qualora due o più parti di una sentenza siano collegate da un nesso di dipendenza, l’accoglimento dell’impugnazione relativa alla parte principale comporta la caducazione anche di quella dipendente.
Infine, la Corte ha precisato che, anche in relazione al concetto di giudicato, l’impugnazione della parte principale della sentenza impedisce il passaggio in giudicato anche delle parti dipendenti da essa, anche nel caso in cui tali parti non siano state oggetto di uno specifico motivo d’impugnazione.
In conclusione, le Sezioni Unite hanno risolto le problematiche esaminate, enunciando i seguenti principi di diritto:”L’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. deve essere interpretato nel senso che la violazione di norme di diritto può concernere anche disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, qualora siano applicabili al rapporto dedotto in giudizio perché dotate di efficacia retroattiva. In tal caso è ammissibile il ricorso per cassazione per violazione di legge sopravvenuta”. “Il ricorso per violazione di legge sopravvenuta incontra il limite del giudicato. Se la sentenza si compone di più parti connesse tra loro in un rapporto per il quale l’accoglimento dell’impugnazione nei confronti della parte principale determinerebbe necessariamente anche la caducazione della parte dipendente, la proposizione dell’impugnazione nei confronti della parte principale impedisce il passaggio in giudicato anche della parte dipendente, pur in assenza di impugnazione specifica di quest’ultima”.
Fonte e foto: http://www.altalex.com/documents/news/2016/11/02/ricorso-in-cassazione-ammesso-anche-per-norme-sopravvenute