La legge sul nuovo istituto del prestito vitalizio ipotecario.
Sono trascorsi 10 anni da quanto è stato introdotto nel nostro ordinamento il cosiddetto “prestito vitalizio ipotecario”. Era il 2005 quando, con un comma a caso, di un decreto legge che introduceva o modificava norme che spaziavano dall’impiantistica negli edifici alla “realizzazione del convegno internazionale interconfessionale”, veniva introdotto il comma 12 dell’art. 11 che recitava:
“12. Il prestito vitalizio ipotecario ha per oggetto la concessione da parte di aziende ed istituti di credito nonche’ da parte di intermediari finanziari, di cui all’articolo 106 del testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, di finanziamenti a medio e lungo termine con capitalizzazione annuale di interessi e spese, e rimborso integrale in unica soluzione alla scadenza, assistiti da ipoteca di primo grado su immobili residenziali, riservati a persone fisiche con eta’ superiore ai 65 anni compiuti”.
Per capire di cosa si tratta si dica, in poche parole, che è la possibilità per persone al di sopra di anni 65 di “ipotecare” la casa per avere un finanziamento. Ma come vedremo più avanti è anche qualcosa di più di una semplice dazione di ipoteca a fronte di un finanziamento visto che questa pattuizione si risolverebbe in un contratto già presente nel codice civile sotto la voce “mutuo” (art 1813 c.c.).
Forse sarà per l’acuirsi della crisi economica che rende appetibile un istituto che sin’ora non aveva potuto avere grande applicazione a causa delle incertezze che scaturiscono da una così scarsa copertura normativa, che il parlamento ha trovato il tempo per emanare la Legge 2 aprile 2015, n. 44 di modifica – di integrazione direi – del comma 12 su indicato (legge pubblicata in Gazzetta Ufficiale n.92 del 21-4-2015).
Vengono così delineati i contorni dell’istituto del prestito vitalizio, riservato ad istituti di credito e ad intermediari finanziari.
Qui sorge una prima perplessità non comprendendosi il motivo per cui un istituto tipicamente da codice civile (ricordo che al Libro Quarto – Titolo III, il Capo XIX si intitoli “Della rendita vitalizia” e all’art. 1872 si prevedono i “Modi di costituzione”) sia stato riservato ad una ristretta cerchia di operatori.
Ma forse il motivo lo si scopre andando ad esaminare il funzionamento dell’istituto, ora che è chiaro cosa sia veramente.
Il limite di età ora si abbassa a 60 anni – non più 65.
La sua comparazione, a grandi linee, con l’istituto codicistico della rendita vitalizia del codice civile torna utile e permette di evidenziale la principale grande diversità strutturale fra i due istituti giuridici.
Si definisce di rendita vitalizia quel contratto con il quale un soggetto, quale corrispettivo dell’alienazione di un bene (di solito un immobile) si obbliga ad effettuare una determinata prestazione periodica a favore di un altro soggetto per tutta la durata della vita di quest’ultimo o di altri.
In merito alla rendita vitalizia ex art. 1872 cod. civ. sempre si dice che il requisito essenziale del contratto sia l’alea che ne scaturisce. Vale a dire l’incertezza dell’equilibrio fra il dare ed avere dei due contrenti, essendo il rapporto sinallagmatico parametrato ad un evento incerto quale è il decesso della parte.
Il prestito vitalizio ipotecario, invece, non ha affatto carattere aleatorio. Il prestito che viene effettuato dalla banca all’over sessantenne, a leggere attentamente l’articolato normativo, deve essere restituito integralmente con interessi e spese. La casa fa solo da garanzia. Il trasferimento dell’immobile, contrariamente alla rendita vitalizia, non è l’oggetto della controprestazione. Si tratta, in sostanza, di una nuova forma di garanzia su prestito.
Il funzionamento di questo particolare istituto viene evidenziato da alcuni passaggi; in primis si prevede che il “rimborso integrale in un’unica soluzione puo’ essere richiesto al momento della morte del soggetto finanziato”. E’ chiaro che non sarà il finanziato a pagare, visto che non c’è più. Sarà, quindi, un problema degli eredi. Il momento del decesso è il momento che determina la cessazione del finanziamento e che obbliga alla restituzione dell’importo oggetto del finanziamento. Qui non si fa cenno all’immobile chiedendosi semplicemente la restituzione del quantum.
Più chiaro è il successivo comma 12-quater in merito a chi debba pagare il dovuto, fra l’altro in una unica soluzione, laddove si afferma: “Qualora il finanziamento non sia integralmente rimborsato entro dodici mesi dal verificarsi degli eventi di cui al citato comma 12”, vale a dire, principalmente, il decesso. La legge ci dice che entro 12 mesi dalla morte “qualcuno” dovrà provvedere al rimborso totale del finanziamento.
Sostanzialmente, pertanto, una probabilistica previsione dell’accaduto suggerisce che:
a) o l’erede è fortemente liquido, dispone di ampie disponibilità tali da pagare in contanti quanto a suo tempo concesso al de cuius, compresi interessi e spese. Tale soluzione appare di remoto accadimento; possiamo immaginare, infatti, che se il decuius avesse avuto eredi con disponibilità economiche non si sarebbe rivolto ad una banca;
b) oppure l’erede lascia la casa all’istituto di credito. Questa è la strada primaria che sembra essere stata privilegiata dal legislatore ed il cui regolamento costituisce la novità della normativa in commento.
Si intravvede, in verità, una terza via che immagino sarà la preferita degli istituti di credito, che è quella che vede l’erede contrarre un nuovo finanziamento con l’istituto di credito al fine di chiudere la pendenza del de cuius.
Sempre il comma 12-quater dichiara che “il finanziatore vende l’immobile ad un valore pari a quello di mercato, determinato da un perito indipendente incaricato dal finanziatore, utilizzando le somme ricavate dalla vendita per estinguere il credito vantato in dipendenza del finanziamento stesso”.
Ho evidenziato come sia proprio il finanziatore, senza intermediari, a vendere l’immobile. Ora, secondo i comuni istituti di diritto sostanziale o processuale, parrebbe una concreta eresia poter passare dall’essere mero titolare di una ipoteca di primo grado su un immobile al poterne provocare direttamente la vendita, trattenendo il ricavato, senza passare attraverso una esecuzione immobiliare. Non solo, la norma neppure prevede che la vendita debba essere effettuata a terzi acquirenti, ben potendo immaginare, quindi, che l’istituto di credito, nei casi in cui trovi conveniente l’affare, possa vendere a se stesso.
E’ chiaro che in qualche modo è stato scomodato, nel senso di scardinato, un principio cardine del nostro ordinamento civilistico che è quello del “divieto del patto commissorio”. L’art. 2744 del codice civile prescrive
“È nullo il patto col quale si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore. Il patto è nullo anche se posteriore alla costituzione dell’ipoteca o del pegno”.
Divieto che non può essere eluso neppure con la vendita a scopo di garanzia, perché è un contratto in frode alla legge.
I poteri concessi al finanziatore sono tali da sostituire gli effetti di una vendita effettuata in sede di asta immobiliare nella procedura esecutiva. La nuova normativa, infatti, prevede addirittura che “nei confronti dell’acquirente dell’immobile non hanno effetto le domande giudiziali di cui all’articolo 2652, primo comma, numeri 7) e 8), del codice civile trascritte successivamente alla trascrizione dell’acquisto”. E’ previsto addirittura un sistema di ribasso del prezzo di stima (del 15%) nel caso in cui non si riesca a vendere l’immobile. In sostanza un modo per saltare pie’ pari le lungaggini, i costi e le complessità delle procedure esecutive immobiliari. Non si comprende perché non si sia permesso analoga possibilità ai comuni privati o alle aziende.
L’istituto in commento è stato fortemente criticato per i poteri che concede alle banche e la carenza di rischio in capo a queste ultime. Tuttavia, si deve soffermare l’attenzione, da ultimo, sull’inciso – sempre del comma 12-quater – che recita: “L’importo del debito residuo non puo’ superare il ricavato della vendita dell’immobile, al netto delle spese sostenute”. Si tratta della disposizione chiave per la corretta comprensione dell’istituto e, come sovente capita al nostro legislatore, proprio nei momenti clou la chiarezza non è di casa.
La locuzione “al netto” deve significare necessariamente che dovranno essere “detratte” le spese. Quindi il ricavato è ciò che resta nelle casse del finanziatore-venditore quando siano state già pagate tutte le spese. L’affermazione secondo la quale “il debito residuo non può superare” detta somma dovrebbe significare che verrà annullata la sua eventuale eccedenza. Non è chiarissimo poiché ben si potrebbe anche dedurne che la vendita non possa essere effettuata quando il prezzo non vada a coprire, al netto, il debito residuo. Speriamo in un celere chiarimento.
Dall’interpretazione di questo inciso ben si comprende, inoltre, come si possa aprile la possibilità che anche l’istituto in commento abbia intrinseca una certa dose di alea, riavvicinandosi, in tal caso, alla già vista rendita vitalizia ex art 1872 c.c., alea che immaginiamo sarà ben calibrata dal finanziatore il quale potrebbe continuare con l’attuale prassi di garantirsi con ipoteca per un valore doppio rispetto al valore del capitale oggetto del finanziamento. In tale ultimo caso solamente eventi eccezionali (come il crollo della casa o l’incendio – per il quale il finanziatore ben vedrà di far stiupulare idonea polizza assicurativa) potrebbero realmente incidere in modo negativo nei confronti del finanziatore.
Finora l’istituto della rendita ipotecaria vitalizia ha avuto veramente scarsa applicazione. Con la nuova integrazione normativa ci sono tutti i presupposti, tuttavia, per fare decollare l’istituto.
La nuova normativa è entrata in vigore in data 6 maggio 2015.
Fonte: http://www.professionegiustizia.it/notizie/notizia.php?id=708
Foto: http://www.investireoggi.it/fisco/prestito-vitalizio-ipotecario-2016-la-guida-completa/