Cassazione Civile, sez. lavoro, sentenza 22/03/2016 n. 5592
La Corte di Cassazione con questa sentenza interviene su una questione che negli anni ha generato pronunce contrastanti, ossia la ripartizione dell’onere della prova del c.d. obbligo di repechage in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Il caso affrontato dalla Suprema Corte riguardava il licenziamento per giustificato motivo di un lavoratore, il cui rapporto di lavoro era stato risolto per effetto di una riorganizzazione aziendale che aveva condotto all’accorpamento di due divisioni ed al conseguente “esubero” della posizione lavorativa del dipendente in questione.
Il lavoratore aveva promosso ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello con la quale era stata riconosciuta la legittimità del licenziamento operato dalla datrice di lavoro, anche in considerazione della mancata deduzione, da parte del lavoratore, della presenza di eventuali posizioni lavorative che egli avrebbe potuto ricoprire.
Come noto, l’onere della prova circa l’esistenza delle ragioni economiche sottese al licenziamento è posta dall’ordinamento a carico del datore di lavoro.
Tale onere implica anche l’obbligo di quest’ultimo di dar conto delle verifiche effettuate all’interno dell’azienda volte a valutare la possibilità di ricollocare il lavoratore, eventualmente anche in mansioni inferiori, al fine di evitare la risoluzione del rapporto di lavoro (c.d. obbligo di repechage).
Tuttavia, riguardo a tale ultimo aspetto, una parte della giurisprudenza sosteneva che l’onere dell’azienda di provare in giudizio l’impossibilità di riutilizzare in altre mansioni il lavoratore, sorgesse soltanto qualora (e se) quest’ultimo avesse quantomeno dedotto la sussistenza di posizioni lavorative o mansioni libere che l’azienda avrebbe potuto assegnargli in un’ottica conservativa del rapporto di lavoro; circostanza sovente difficile da allegare, soprattutto in presenza di realtà aziendali di rilevanti dimensioni, con sedi dislocate sull’intero territorio nazionale.
Con questa sentenza, per certi aspetti rivoluzionaria, la Suprema Corte esclude radicalmente l’esistenza di qualsiasi onere di allegazione a carico del lavoratore.
Secondo i giudici, infatti, spetta al datore di lavoro, che vuole dimostrare la legittimità del licenziamento, provare non solo la effettiva presenza delle ragioni economiche o organizzative che hanno determinato il licenziamento del dipendente, ma anche la mancanza di posizioni di lavoro o mansioni libere in azienda e ciò indipendentemente dal fatto che il lavoratore ne abbia o meno dedotto l’esistenza in giudizio.
L’argomentazione della Corte si fonda sulla ratio secondo secondo la quale l’obbligo di repechage costituisce un elemento imprescindibilmente connesso alle ragioni economiche ed organizzative poste alla base dell’atto risolutivo del rapporto di lavoro, la cui prova è pertanto da ritenersi integralmente a carico del datore di lavoro, in coerenza con il disposto dell’art. 5 della L. 604/1966.
Fonte: http://www.altalex.com/documents/news/2016/05/10/obbligo-di-repechage-onere-prova-datore
Foto: http://www.lavoroediritti.com/tag/jobs-act