Corte Europea Diritti dell’Uomo, sentenza 02/02/2016 n° 22947/13.
Nel caso di messaggi offensivi pubblicati su Portali Internet la responsabilità dei gestori di tali portali si configura quando i commenti degli utenti assumano contenuti di odio e diventino minacce dirette per l’integrità fisica delle persone e gli stessi gestori non riescano ad adottare misure efficaci per rimuovere tempestivamente e senza preavviso i contenuti chiaramente illegali.
La sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’uomo del 2 febbraio 2016 affronta un argomento molto interessante e da tempo dibattuto in ambito europeo e cioè la responsabilità dei portali Internet nel caso di pubblicazione di messaggi offensivi da parte degli utenti.
Il caso di specie riguarda il ricorso di un importante organo di autoregolamentazione dei fornitori di contenuti internet ungherese Magyar Tartalomszolgaltatok Egyesulete (“MTE”) e di una società Index, proprietaria di uno dei più importanti portali di notizie Internet in Ungheria.
In particolare MTE il 5 gennaio del 2010 pubblica dei commenti su due siti di annunci immobiliari relativi all’applicazione di una tassa suppletiva addebitata alla scadenza dei 30 giorni, periodo concordato per l’inserzione pubblicitaria. La tassa viene contestata da molti utenti che pubblicano sul portale contenuti offensivi. Per tali motivi la società che gestisce i siti web cita in giudizio MTE ed Index perché responsabili di aver danneggiato la reputazione della stessa società attraverso quei contenuti diffamatori. I giudici del Kuria (il più alto organo giudiziario ungherese) accolgono i motivi del ricorso e condannano i ricorrenti al pagamento di 250 euro obbligandoli a rimuovere i commenti. I giudici, difatti, ritengono che la responsabilità dei commenti diffamatori è da attribuire ai gestori dei portali che quindi rispondono in toto dei danni causati da terzi (gli utilizzatori del servizio).
MTE ed Index non accettano tale decisione e ricorrono alla Corte Europea dei Diritti dell’uomo invocando la libertà di espressione di cui all’art. 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU).
Dopo un’ampia disamina dell’intera questione la Corte conclude per l’effettiva violazione dell’art. 10 della CEDU e vediamo adesso quali sono le motivazioni che hanno giustificato una simile decisione.
La Corte partendo dalla constatazione che sia il primo ricorrente, come organo di autoregolamentazione dei fornitori di servizi Internet, che il secondo ricorrente, come grande portale di notizie, hanno reso disponibile un forum per l’esercizio dei diritti di espressione, permettendo al pubblico di diffondere informazioni e idee, condivide il parere della Corte costituzionale (decisione n. 19/2014) secondo la quale il comportamento dei ricorrenti deve essere valutato alla luce dei principi applicabili alla stampa. Difatti, nel caso di specie, il diritto fondamentale leso non è il diritto alla libertà di espressione in quanto tale, ma uno dei suoi elementi particolari, il diritto alla libertà di stampa: il riconoscimento della responsabilità dell’operatore della pagina web limita ovviamente la libertà di stampa – che comprende, senza dubbio, la comunicazione su Internet. Se la responsabilità per la pubblicazione dei commenti è basata sul fatto stesso della pubblicazione stessa, non sarebbe giustificato distinguere tra commenti moderati e non moderati per quanto riguarda la proporzionalità della limitazione del diritto fondamentale in questione.
Nello specifico la Corte ricorda che, anche se non editori in senso tradizionale i portali di notizie Internet devono, in linea di principio, assumere compiti e responsabilità. A causa della particolare natura di Internet, i compiti e le responsabilità possono essere diversi in una certa misura da quelle di un editore tradizionale, in particolare per quanto riguarda i contenuti di terze parti. La Corte, ad esempio, ha esaminato, in altri casi (v. caso Delfi AS) compiti e responsabilità, ai sensi dell’articolo 10 della CEDU, dei grandi portali di notizie su Internet dove essi forniscono, a fini economici, una piattaforma per i commenti generati dagli utenti e in cui gli stessi devono impegnarsi a non utilizzare espressioni chiaramente illegali, di incitamento all’odio e incitamento alla violenza. Si tratta, però, di casi diversi rispetto a quello in esame, dove i commenti incriminati, per quanto offensivi e volgari non possono essere considerati illegali poiché non costituiscono incitamento all’odio o alla violenza.
La Corte non condivide l’atteggiamento delle autorità nazionali che ritengono senza ulteriori analisi che i commenti incriminati siano da considerare illegittimi in quanto dannosi per la reputazione della società. Difatti secondo la Corte bisogna distinguere tra gli interessi commerciali di reputazione di una società e la reputazione di un individuo che si riflette sul suo status sociale. E’ quest’ultimo interesse che va tutelato in quanto ha ripercussioni sulla stessa dignità dell’individuo.
La Corte anche in altri casi (v. caso Delfi AS) ha ritenuto che al fine di valutare la responsabilità di un portale Internet, nel caso di commenti diffamatori, bisogna valutare diversi elementi come: il contesto del commenti; le misure applicate dalla società responsabile, al fine di prevenire o rimuovere i commenti diffamatori; la responsabilità degli effettivi autori dei commenti come alternativa alla responsabilità dell’intermediario, e le conseguenze del procedimento nazionale per la società ricorrente. Nel caso di specie, ad esempio, la Corte ha osservato che i soggetti ricorrenti hanno previsto alcune misure generali per evitare commenti diffamatori sui loro portali o per rimuoverli. Entrambi i ricorrenti avevano un disclaimer che dettava termini e condizioni, prevedendo che chi scriveva i commenti ne assumeva la diretta responsabilità. La stessa Corte ha osservato che la società danneggiata non ha mai chiesto ai ricorrenti di rimuovere i commenti, ma si è rivolta direttamente al tribunale nazionale per chiedere giustizia. Gli stessi giudici hanno attribuito ai portali una sorta di responsabilità oggettiva semplicemente per “aver fornito lo spazio per i commenti dannosi e degradanti” e non hanno effettuato alcun esame dei comportamenti sia dei richiedenti che dell’attore.
La Corte, quindi, ritiene che la posizione rigida dei giudici ungheresi riconosce un concetto di responsabilità che non tiene in debito conto il necessario bilanciamento di diritti in base ai criteri stabiliti dalla propria giurisprudenza (vedi caso Von Hannover).
Pur senza entrare nel merito dei metodi scelti dal legislatore di uno Stato convenuto per regolamentare un determinato settore, la Corte ritiene che, se accompagnate da procedure efficaci che consentano una risposta rapida, il tipico sistema di segnalazione e rimozione proprio dei forum (sistema take-down) potrebbe funzionare come strumento adeguato per bilanciare i diritti e gli interessi di tutti i soggetti coinvolti. Di conseguenza la Corte non vede alcuna ragione per ritenere che un tale sistema non avrebbe potuto fornire una valida soluzione per proteggere la reputazione commerciale del querelante. Solo nel caso in cui i commenti degli utenti assumano contenuti di odio e diventino minacce dirette per l’integrità fisica delle persone, i diritti e gli interessi degli altri e della società nel suo insieme potrebbero effettivamente essere violati e comportare responsabilità a carico dei portali di notizie su Internet quando i gestori non riescano ad adottare misure efficaci per rimuovere tempestivamente e senza preavviso i commenti chiaramente illegali (vedi Delfi AS). Tuttavia, il caso di specie, non è stato contraddistinto da tali espressioni.
Fonte: http://www.altalex.com/documents/news/2016/03/10/pubblicazione-messaggi-offensivi-portali-internet-quando-rispondono-gestori
Foto: http://www.vivitelese.it/2013/08/ingiuria-e-diffamazione-su-internet/