Con l’ordinanza numero 5032/2016, depositata il 15 marzo (qui sotto allegata), la Corte di cassazione ha infatti chiarito, con riferimento alle malattie psichiche, che l’indennità di accompagnamento va riconosciuta anche a coloro che siano materialmente capaci di compiere gli atti elementari della vita quotidiana ma che in concreto lo facciano incorrendo nei predetti limiti in ragione di gravi carenze intellettive o stati patologici e necessitino, così, della presenza di un accompagnatore.
Insomma: la capacità del soggetto che richieda l’indennità di accompagnamento di compiere gli atti giornalieri elementari deve essere valutata non solo come idoneità a compierli materialmente ma anche come idoneità a comprenderne il significato, la portata e l’importanza anche ai fini della salvaguardia della sua salute psico-fisica.
Inoltre non è sufficiente fare riferimento al numero di atti elementari che il soggetto non sia eventualmente in grado di compiere ma occorre concentrarsi soprattutto sulle loro ricadute sulla salute e sulla dignità dello stesso.
Nel caso analizzato dalla Corte con la sentenza in commento, i giudici del merito avevano riconosciuto il diritto all’indennità di accompagnamento a un soggetto affetto da gravi patologie neurologiche, ma, nel farlo, non avevano considerato le peculiarità comportamentali del beneficiario e non si erano attenuti alle considerazioni sopra riportate circa gli effetti delle malattie psichiche sulla capacità di chi ne soffra di compiere autonomamente gli atti del vivere quotidiano.
La parola torna alla Corte di appello che, in secondo grado, dovrà valutare più approfonditamente le reali condizioni del richiedente l’indennità di accompagnamento e riconsiderarne eventualmente la contestata decorrenza (fissata nel 2012 anziché, come richiesto, nel 2007).
Corte di cassazione testo ordinanza numero 5032/2016
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