186 e 187 C.d.S.
“La condotta tipica del reato previsto dall’art.187 C.d.S., commi 1 e 2, non è quella di chi guida dopo aver assunto sostanze stupefacenti, ma quella di chi guida in stato d’alterazione psico-fisica determinato da tale assunzione e pertanto, perché possa affermarsi la responsabilità dell’agente, non è sufficiente provare che, precedentemente al momento in cui lo stesso si è posto alla guida, egli abbia assunto stupefacenti, ma altresì che egli guidava in stato di alterazione causato da tale assunzione (cfr. questa sez. 4, n. 33312 dell’8.7.2008).
Una ragazza, alla guida di un’automobile, alle cinque del mattino, non rispettando il segnale di stop, e omettendo di dare la precedenza ad un veicolo proveniente dall’opposto senso di marcia, provocava un incidente stradale.
A seguito dei prelievi, delle analisi dei liquidi biologici e degli esami clinici, la conducente risultava in stato di ebbrezza alcolica con un tasso alcolemico pari a 0,9 g/l, superiore, al limite previsto per legge. Dagli stessi esami, la stessa risultava positiva ad alcune sostanze stupefacenti o psicotrope.
Già condannata per i reati di cui agli artt. 186 e 187 del C.d.S., in primo e secondo grado di giudizio, la stessa proponeva ricorso per Cassazione deducendo quale unico motivo di impugnazione, l’erronea applicazione della legge penale in relazione all’articolo 187, c. 1, c.1 bis, d.lgs. n. 285/1992 (guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti).
A giudizio della difesa la motivazione dei giudici di merito non era condivisibile, dal momento che non convinceva l’iter logico attraverso cui ritenere raggiunta la prova al di sopra di ogni ragionevole dubbio, in particolar modo, in riferimento all’attualità dell’uso di sostanze stupefacenti e dello stato di alterazione psicofisica al momento dell’accertamento.
L’esame clinico eseguito, se pacifico quanto alla determinazione del tesso alcolemico, non lo era altrettanto in relazione all’uso delle sostanze stupefacenti.
Il dato clinico – lamentava la difesa – non può costituire l’unico elemento per affermare che l’agente si sia posto alla guida in stato di alterazione psicofisica. Al fine di determinare detto stato di alterazione occorre, piuttosto, verificare la sussistenza di circostanze fattuali che facciano concretamente presupporre uno stato attuale di alterazione, come una visita neurologica o esami analitici sulle sostanze per affermare una recente assunzione o uno stato psico-fisico alterato al momento dell’accertamento.
Di tali riscontri, tuttavia, non vi era stata traccia.
Non solo. Anche i prelievi ematici e sui liquidi sarebbero insufficienti. Entrambi gli esami non sarebbero, infatti, in grado di stabilire i tempi dell’assunzione e quindi l’attualità dell’uso. La positività riscontrata nel sangue potrebbe, infatti, indicare semplicemente un’assunzione pregressa di giorni, con una variabilità determinata dal tipo di molecola assunta.
Non sarebbe, perciò, possibile stabilire l’esistenza di un nesso causale tra l’assunzione e lo stato di alterazione attuale ed esistente al momento della contestazione.
Se ciò è vero – aggiunge la difesa – anche l’esistenza in circolo delle sostanze non dimostrerebbe alcunché circa l’effettiva esistenza di una intossicazione.
In verità, nel caso di specie, era stato eseguito un test di screening, con prelievo ematico, che avrebbe evidenziato alcune tracce di benzodiazepine, cocaina e metadone, ma il test di conferma della cocaina avrebbe dato esito negativo.
Le rimanenti sostante rinvenute – secondo quanto affermato dalla ricorrente – sarebbero state da ricondursi alla assunzione di psicofarmaci, ansiolitici, antidepressivi e psicostimolanti di grande diffusione, usate per scopi terapeutici.
In assenza, perciò, di una visita neurologica (che allo stato, sarebbe stato opportuno eseguire sulla imputata) non poteva dirsi accertato il perdurante stato di alterazione al momento del fatto.
La sentenza in commento è importante nella misura in cui fa luce circa le modalità di accertamento dei reati rispettivamente previsti dagli artt. 186 e 187 C.d.S; se, infatti, per la sussistenza del rato di guida in stato di ebbrezza alcolica è sufficiente la prova sintomatica dell’ebbrezza o che il conducente abbia superato uno dei tassi alcolemici indicati nel comma secondo dell’art. 186 C.d..S, per la configurabilità del secondo reato, è necessario sia un accertamento tecnico-biologico, sia che altre circostanze provino la situazione di alterazione psico-fisica (Cass., Sez. IV, n. 41796 dell’11.6.2009; Cass., Sez. IV, n. 39160 del 15.5.2013).
Per la Corte di Cassazione risulta, perciò, fondato il ricorso; al contrario, ritiene illogica la motivazione della Corte territoriale adita e precisa che gli elementi da cui desumere lo stato di alterazione psicofisica (in conseguenza dell’uso di stupefacenti) possono essere rinvenuti anche nelle modalità di guida o dell’incidente, ma che nel caso de quo le modalità di accadimento del sinistro non apparirebbero necessariamente ricollegabili allo stato di alterazione psichica. Non fermarsi allo stop alle cinque del mattino (magari contando che a quell’ora il traffico veicolare sia esiguo) non è necessariamente segno di alterazione psicofisica; potendo essere piuttosto riconducibile a trascuratezza, distrazione e/o scarso rispetto delle norme sulla circolazione stradale.
Altre sarebbero le condotte di guida, che alla luce delle risultanti fattuali, potrebbero dirsi univocamente sintomatiche di alterazione psicofisica. Si pensi ad esempio, all’imboccare l’autostrada contromano, guidare a velocità elevatissime oppure operare sorpassi e manovre particolarmente rischiose.
Segnalazione e articolo a cura della collega, Avv. Sabrina Caporale