Cassazione: alle Sezioni Unite la risarcibilità dei danni punitivi (punitive damages)

11 Luglio 2016


Cass., Ordinanza n. 9978/2016.
Il nostro sistema processuale ha sempre escluso la delibabilità delle sentenze che pronunciavano in tema di danni punitivi; ma ora si apre una breccia!
Ricordiamo che in base al leading case n. 1183 del 2007 il nostro ordinamento si basa sui seguenti principi: “nel vigente ordinamento alla responsabilità civile è assegnato il compito precipuo di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, anche mediante l’attribuzione al danneggiato di una somma di denaro che tenda a eliminare le conseguenze del danno subito, mentre rimane estranea al sistema l’idea della punizione e della sanzione del responsabile civile ed è indifferente la valutazione a tal fine della sua condotta. E’ quindi incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto dei danni punitivi che, per altro verso, non è neanche riferibile alla risarcibilità dei danni non patrimoniali o morali”.

Questa la massima dell’ordinanza della Suprema Corte, n. 9978, del 16 maggio 2016, Est. La Morgese

“Deve essere rimessa al Primo Presidente, perché valuti l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, la questione relativa alla riconoscibilità delle sentenze straniere comminatorie di danni punitivi. L’attuale vigenza nell’ordinamento del principio di non delibabilità, per contrarietà all’ordine pubblico, delle sentenze straniere che riconoscano danni punitivi desta infatti perplessità, alla luce della progressiva evoluzione compiuta dalla giurisprudenza di legittimità nell’interpretazione del principio di ordine pubblico, originariamente inteso come espressione di un limite riferibile esclusivamente all’ordinamento giuridico nazionale, ma che è andato successivamente ad identificarsi con l'”ordine pubblico internazionale”, da intendersi come complesso dei principi fondamentali caratterizzanti l’ordinamento interno in un determinato periodo storico, ma fondati su esigenze di tutela, comuni ai diversi ordinamenti, dei diritti fondamentali dell’uomo e desumibili dai sistemi di tutela approntati a livello sovraordinato rispetto alla legislazione ordinaria”.

Ecco il testo della pronuncia della Cassazione che potrebbe dare la stura ad un cambiamento inimmaginabile!

“SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La società NOSA Inc., con sede in (OMISSIS), ha chiesto che fossero dichiarate efficaci ed esecutive, nell’ordinamento italiano, tre sentenze pronunciate negli Stati Uniti d’America, passate in giudicato: la sentenza del 23 settembre 2008, esecutiva, della Circuit Court of the 17th Judicial Circuit for Broward Count (Florida), confermata in appello dal District Court of Appeal of the State of Florida, dell’11 agosto 2010, che aveva condannato la società italiana AXO Sport a pagare la complessiva somma di dollari USA 1.436.136,87, oltre interessi al tasso annuo dell’11%, a seguito di procedimento giudiziario svoltosi davanti a quell’autorità; la sentenza del 14 gennaio 2009, con cui il medesimo giudice aveva liquidato dollari USA 106.500,00, a titolo di rifusione dei costi, delle spese legali e degli interessi al tasso annuo dell’8%; la sentenza del 13 ottobre 2010 che aveva liquidato, in relazione al giudizio di appello, l’ulteriore somma di dollari USA 9.000,00, a titolo di rifusione dei costi, delle spese legali e degli interessi al tasso annuo del 6%. Con le suddette pronunce, il giudice americano ha accolto la domanda di reintegrazione patrimoniale di NOSA, in relazione ad un indennizzo corrisposto ad un motociclista (D.C.) che aveva subito danni alla persona in un incidente avvenuto in una gara motociclistica, per un vizio del casco prodotto da AXO e rivenduto da NOSA; nel giudizio promosso dal danneggiato, anche nei confronti della importatrice del casco (società Helmet), NOSA aveva accettato la proposta transattiva del motociclista (Offer of Judgment), anche per danni punitivi, e il giudice americano ha ritenuto che dovesse essere manlevata da AXO. 2.- Ad avviso di NOSA, sussistevano i presupposti per il riconoscimento delle suddette sentenze, a norma della L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 64, avendo la AXO accettato la giurisdizione straniera e partecipato a quel giudizio.
Per quanto ancora interessa, la convenuta AXO ha dedotto la contrarietà delle sentenze americane all’ordine pubblico, per le seguenti ragioni: violazione dell’art. 1304 c.c., poichè la transazione conclusa tra il creditore e uno dei debitori solidali (nella specie, tra il danneggiato e NOSA) non può produrre effetti nei confronti degli altri debitori (cioè di AXO), a meno che questi non abbiano dichiarato di volerne profittare; mancato accertamento della propria effettiva responsabilità nella causazione del danno al motociclista, erroneamente desunta dal giudizio sommario e probabilistico (cd. potential liability test) di ragionevolezza del pagamento effettuato da NOSA in sede transattiva, per il rischio di soccombenza nella causa risarcitoria intentata dal danneggiato;

contrarietà all’ordine pubblico della comminatoria di danni punitivi (punitive damages), in ragione della loro inammissibile funzione sanzionatoria della condotta del danneggiante, anzichè risarcitoria dei danni subiti dal danneggiato.

3.- La Corte d’appello di Venezia, con sentenza 3 gennaio 2014, ha accolto la domanda di NOSA e ha compensato le spese di lite. La Corte ha escluso la violazione del principio di ordine pubblico italiano, per le seguenti ragioni: la condanna di AXO non trovava titolo nel risarcimento del danno in favore del motociclista danneggiato, ma nel suo obbligo di manleva nei confronti di NOSA;

ad AXO era stata data la possibilità di costituirsi nell’interesse di NOSA e di difendersi nel giudizio contro il danneggiato, anche contestando la propria responsabilità, ma non lo aveva fatto e mai aveva sollevato obiezioni alla proposta transattiva del danneggiato che le era stata comunicata ed era stata giudicata seria dal giudice americano, tenuto conto del rischio della soccombenza nel giudizio, che avrebbe esposto NOSA (e, indirettamente, AXO) a corrispondere un risarcimento più elevato; quindi, AXO si era posta deliberatamente nella condizione di subire gli effetti della transazione stipulata da NOSA con il danneggiato e ne aveva profittato, avendo tacitato in via transattiva le pretese del danneggiato nei suoi confronti, corrispondendogli l’esiguo importo di dollari 50000,00 ed evitando l’accertamento della sua responsabilità nel merito; non risultava che fossero stati risarciti danni punitivi, poichè la sentenza americana si era limitata a riconoscere che AXO era tenuta a pagare a NOSA l’importo della transazione, senza specificare di quali danni si trattasse.

4.- La AXO ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui si è opposta la NOSA. Le parti hanno presentato memorie.

motivi della decisione

1.- Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione della L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 64, lett. b) e g), nonchè vizio di motivazione, per avere la sentenza impugnata escluso la contrarietà all’ordine pubblico della sentenza straniera che aveva condannato AXO a pagare a NOSA l’importo corrispondente alla transazione stipulata da quest’ultima con il danneggiato, ancorchè tale condanna fosse stata emessa in applicazione dell’istituto del potential liability test, cioè sulla base della mera constatazione che OXA avesse rifiutato di assumere la difesa di NOSA nei confronti del danneggiato e che la transazione apparisse equa, in considerazione della possibilità di successo della domanda del danneggiato contro NOSA per un importo superiore, ma senza alcuna verifica circa il plausibile fondamento della domanda di garanzia proposta da NOSA verso AXO. Con il secondo motivo è denunciata la violazione della L. n. 218 del 1995, art. 64, lett. b) e g), nonchè vizio di motivazione, per avere ritenuto che AXO avesse profittato ex art. 1304 c.c. dell’accordo stipulato da NOSA con il danneggiato; l’istituto del potential liability test violerebbe il principio di ordine pubblico, in base al quale il garantito (NOSA), per essere rimborsato dell’importo corrisposto in forza di una transazione stipulata con il danneggiato, dovrebbe risultare vittorioso in un giudizio avente ad oggetto l’accertamento in concreto (che non v’era stato) della responsabilità del garante (AXO).

Con il terzo motivo è denunciata la violazione della L. n. 218 del 1995, art. 64, lett. g), nonchè vizio di motivazione, per avere la Corte veneziana trascurato che la sentenza americana aveva condannato AXO a reintegrare NOSA per un indennizzo corrisposto al danneggiato a titolo di danni punitivi, come risultava dal fatto che la somma posta a carico di AXO corrispondeva a quella indicata nella proposta transattiva del danneggiato, a composizione integrale della pretesa risarcitoria, compresi i punitive damages; per non avere valutato la totale omissione di motivazione della sentenza americana, quanto ai criteri seguiti per la determinazione del danno: ciò non consentiva (e, quindi, secondo la giurisprudenza di questa Corte, impediva) di riconoscerla nell’ordinamento italiano, in quanto contraria al principio di ordine pubblico circa la natura esclusivamente compensatoria del rimedio risarcitorio, in presenza di un quantum abnorme rispetto ai parametri italiani, che ne evidenziava la natura punitiva e sanzionatoria; tanto più che l’importo si aggiungeva a quello corrisposto al danneggiato dall’importatrice del casco (la Helmet) e che si trattava di un transazione (settlement) necessariamente inclusiva della componente punitiva, incorporando un aliquid datum e un aliquid retentum che rivelava una stima del danno ancora maggiore.

2.- Il terzo motivo implica l’esame di una questione, di massima di particolare importanza, che va rimessa all’esame del Primo Presidente della Corte di Cassazione, perchè valuti l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite Civili, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 2, per le ragioni di seguito esposte.

3.- L’orientamento contrario alla riconoscibilità delle sentenze straniere di condanna al pagamento di somme a titolo di danni punitivi (espresso da Cass. n. 1183 del 2007) è rinforzato dall’affermazione secondo cui a giustificare il diniego di riconoscimento è sufficiente, in sostanza, anche solo il dubbio dell’esistenza di una condanna ai punitive damages, non essendo “sintomatica l’assenza nella pronuncia straniera di esplicito rinvio all’istituto” in esame (in tal senso Cass. n. 1781 del 2012). Secondo quest’ultima sentenza, “la mancanza di motivazione nella sentenza straniera, che in linea di principio non integra in sè una violazione dell’ordine pubblico (cfr. Cass. n. 9247 del 2002, n. 3365 del 2000), non può mantenere un significato neutro ai fini del riconoscimento in Italia”, nel caso in cui manchi “qualsiasi indicazione positiva circa la causa giustificativa della statuita attribuzione patrimoniale e sia Li omesso il richiamo in essa e nella impugnata sentenza a regole legali e/o criteri esteri propri della liquidazione del danno in questione e nella specie applicabili”. Al giudice della delibazione, ai fini della verifica di compatibilità con l’ordine pubblico (inteso come) interno, si chiede di “conoscere i criteri legali in concreto applicati dal giudice straniero nell’adozione della pronuncia, e segnatamente, con riferimento al tema controverso, quelli seguiti per qualificare la responsabilità e le conseguenti voci di danno ristorabili, onde evincere la causa giustificatrice dell’attribuzione” e, in sostanza, di controllare la “ragionevolezza e proporzionalità del liquidato in sede estera in rapporto non solo alle specificità dell’illecito ed alle patite conseguenze, ma anche ai criteri risarcitori interni”. A questa metodologia decisoria si è sottratta la Corte veneziana, la quale ha escluso che la sentenza straniera contenesse una statuizione di danni punitivi, senza verificare la causa dell’attribuzione patrimoniale, le regole legali e/o i criteri applicati dal giudice americano nella liquidazione delle diverse voci di danno (neppure esplicitate) e, in definitiva, la ragionevolezza e proporzionalità del risarcimento. E ciò, nonostante che l’importo liquidato fosse elevato, si aggiungesse ad un altro dovuto dall’importatrice del casco e fosse il risultato di una proposta transattiva del danneggiato che conteneva i danni punitivi.

La Corte, in tal modo, non ha fatto applicazione di un principio della non delibabilità, per contrasto con l’ordine pubblico, della sentenza straniera che riconosca danni punitivi – la cui attuale vigenza nell’ordinamento suscita, in effetti, perplessità.

4.- E’ necessaria una premessa sull’ambito applicativo del principio di ordine pubblico, a norma della L. n. 218 del 1995, artt. 16, 64 e 65. La giurisprudenza di legittimità ha compiuto una progressiva evoluzione nell’interpretazione del principio di ordine pubblico (cui si aggiungeva, nell’abrogato art. 31 disp. gen., il richiamo al buon costume), inteso originariamente come espressione di un limite riferibile all’ordinamento giuridico nazionale, costituito dal complesso dei principi che, tradotti in norme inderogabili o da queste desumibili, informano l’ordinamento giuridico e concorrono a caratterizzare la struttura etico-sociale della società nazionale in un determinato momento storico (vd. Cass. n. 3881 del 1969 e n. 818 del 1962, quest’ultima escludeva che il principio andasse inteso in senso internazionale, astratto o universale); successivamente, si è ritenuto che l’indagine sulla conformità all’ordine pubblico andasse riferita all’ordine pubblico interno se la sentenza da riconoscere riguardava cittadini italiani e all’ordine pubblico internazionale se riguardava (soltanto) cittadini stranieri (vd. Cass. n. 228 del 1982); nella giurisprudenza più recente prevale il riferimento all’ordine pubblico internazionale, da intendersi come complesso dei principi fondamentali caratterizzanti l’ordinamento interno in un determinato periodo storico, ma fondati su esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo comuni ai diversi ordinamenti e desumibili, innanzi tutto, dai sistemi di tutela approntati a livello sovraordinato rispetto alla legislazione ordinaria (vd., tra le tante, Cass. n. 1302 e 19405 del 2013, n. 27592 del 2006, n. 22332 del 2004, n. 17349 del 2002, n. 2788 del 1995). Questa evoluzione del concetto di ordine pubblico segna un progressivo e condivisibile allentamento del livello di guardia tradizionalmente opposto dall’ordinamento nazionale all’ingresso di istituti giuridici e valori estranei, purché compatibili con i principi fondamentali desumibili, in primo luogo, dalla Costituzione, ma anche dai Trattati fondativi e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e, indirettamente, dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (si è osservato, in dottrina, che il nostro ordinamento si propone, in tal modo, di salvaguardare la stessa comunità internazionale che trova la sua difesa anche negli ordinamenti interni dei vari Stati).

Se ne ha conferma nella normativa comunitaria, che esclude il riconoscimento (ora previsto come automatico) nei soli casi di “manifesta” contrarietà all’ordine pubblico (vd., ad es., l’art. 34 del regol. CE 22 dicembre 2001 n. 44, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale; l’art. 26 del regol. CE 11 luglio 2007 n. 864, sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali; l’art. 22 e 23 del regol. CE 27 novembre 2003, n. 2201, in tema di riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e della responsabilità genitoriale; l’art. 24 del regol. CE 18 dicembre 2008, n. 4/2009, in materia di obbligazioni alimentari); nella giurisprudenza comunitaria, dove il ricorso alla nozione di ordine pubblico presuppone l’esistenza di una minaccia reale, attuale e grave nei confronti di un interesse fondamentale della società (vd. Corte giust. VE, 4 ottobre 2012, C-249/11, per giustificare le deroghe alla libera circolazione delle persone invocabili dagli Stati membri) e nella giurisprudenza di legittimità.

Quest’ultima ha evidenziato come il rispetto dell’ordine pubblico debba essere garantito, in sede di controllo della legittimità dei provvedimenti giudiziari e degli atti stranieri, avendo riguardo non già all’astratta formulazione della disposizione straniera o alla correttezza della soluzione adottata alla luce dell’ordinamento straniero o di quello italiano, bensì “ai suoi effetti” (come ribadito da Cass. n. 9483 del 2013), in termini di compatibilità con il nucleo essenziale dei valori del nostro ordinamento (nel senso che le norme espressive dell’ordine pubblico sono quelle fondamentali e non coincidono con quelle, di genere più ampio, imperative o inderogabili, vd. Cass. n. 4040 del 2006, n. 13928 del 1999, n. 2215 del 1984, sicchè il contrasto con queste ultime non costituisce, di per sè solo, impedimento all’ingresso del provvedimento straniero).

In altri termini, l’ordine pubblico non si identifica con quello esclusivamente interno, poichè, altrimenti, le norme di conflitto sarebbero operanti solo ove conducessero all’applicazione di norme materiali aventi contenuto simile a quelle italiane, cancellando la diversità tra i sistemi giuridici e rendendo inutili le regole del diritto internazionale privato (è chiara in tal senso Cass. n. 10215 del 2007).

Se è acquisito che l’ordine pubblico è costituito non dalle singole norme del nostro ordinamento, ma dai principi fondamentali di esso (vd., in linea di principio, già Cass. n. 543 del 1980), non è chiaro come individuare l’esistenza di tali principi e, in particolare, se sia possibile individuarli immediatamente nelle norme di legge ordinarie (come sembra ricavarsi da Cass. n. 2215 del 1984), ipotizzando, ad esempio, un collegamento funzionale con disposizioni costituzionali. In realtà, non può essere indicativo dell’esistenza di un principio di ordine pubblico il solo fatto che il legislatore ordinario abbia esercitato la propria discrezionalità, in una determinata direzione, con riferimento a materie e istituti giuridici la cui regolamentazione non sia data direttamente dalla Costituzione, ma sia rimessa allo stesso legislatore (in presenza di una riserva di legge o, entro certi limiti, di norme costituzionali programmatiche). Come efficacemente rilevato in dottrina, se il legislatore è libero di atteggiarsi come meglio ritiene, allora potranno avere libero ingresso prodotti giudiziali stranieri applicativi di regole diverse, ma comunque non contrastanti con i valori costituzionali essenziali o non incidenti su materie disciplinate direttamente dalla Costituzione. Non è conforme a questa impostazione, ad esempio, l’orientamento che, in passato, negava ingresso alle sentenze straniere di divorzio, solo perchè la legislazione ordinaria dell’epoca stabiliva l’indissolubilità del matrimonio (vd. Cass. n. 3444/1968), sebbene detta indissolubilità non esprimesse alcun principio o valore costituzionale essenziale.

La progressiva riduzione della portata del principio di ordine pubblico, tradizionalmente inteso come clausola di sbarramento alla circolazione dei valori giuridici – cui tende, invece, il sistema del diritto internazionale privato – è coerente con la storicità della nozione e trova un limite soltanto nella potenziale aggressione del prodotto giuridico straniero ai valori essenziali dell’ordinamento interno, da valutarsi in armonia con quelli della comunità internazionale.

Il giudice della delibazione, al quale è affidato il compito di verificare preventivamente la compatibilità della norma straniera con tali valori, desumibili direttamente da norme e principi sovraordinati (costituzionali e internazionali), dovrà negare il contrasto in presenza di una mera incompatibilità (temporanea) della norma straniera con l’assetto normativo interno, quando questo rappresenti una delle diverse modalità di attuazione del programma costituzionale, quale risulti dall’esercizio della discrezionalità del legislatore ordinario in un determinato momento storico. Si tratta di un giudizio simile a quello di costituzionalità, ma preventivo e virtuale, dovendosi ammettere il contrasto con l’ordine pubblico soltanto nel caso in cui al legislatore ordinario sia precluso di introdurre, nell’ordinamento interno, una ipotetica norma analoga a quella straniera, in quanto incompatibile con i valori costituzionali primari (già secondo Corte cost. n. 214 del 1983, la verifica del rispetto dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale costituisce un “passaggio obbligato della tematica dell’ordine pubblico”).

5.- In questa prospettiva, non dovrebbe considerarsi pregiudizialmente contrario a valori essenziali della comunità internazionale (e, quindi, all’ordine pubblico internazionale) l’istituto di origine nordamericana dei danni non risarcitori, aventi carattere punitivo: una statuizione di tal genere potrebbe esserlo, in astratto, solo quando la liquidazione sia giudicata effettivamente abnorme, in conseguenza di una valutazione, in concreto, che tenga conto delle “circostanze del caso di specie e dell’ordinamento giuridico dello Stato membro del giudice adito” (è in tal senso il Considerando 32 del regol. CE 11 luglio 2007, n. 864, sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali). Analoghe indicazioni provengono dal diritto comparato: la Corte costituzionale federale tedesca (24 gennaio 2007, in JZ, 2007, 1046) e il Tribunale Supremo spagnolo (13 novembre 2001, n. 2039/1999) hanno ritenuto che le pronunce contenenti statuizioni di condanna ai danni punitivi non siano automaticamente contrarie all’ordine pubblico; analogamente, la Corte di cassazione francese (7 novembre 2012, n. 11-23871, e 1 dicembre 2010 n. 90-13303) ha ritenuto i danni punitivi contrari all’ordine pubblico solo se liquidati in misura realmente eccessiva.

6.- Venendo alle ragioni che hanno indotto questa Corte a negare l’ingresso, nel nostro ordinamento, di sentenze straniere contenenti statuizioni di condanna ai danni punitivi, il leading case è la sentenza di questa Corte n. 1183 del 2007, che ha riguardato un caso, analogo a quello in esame, di responsabilità da prodotto difettoso per i vizi di un casco da motociclista.

Ne è stata tratta la seguente massima: “Nel vigente ordinamento alla responsabilità civile è assegnato il compito precipuo di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, anche mediante l’attribuzione al danneggiato di una somma di denaro che tenda a eliminare le conseguenze del danno subito mentre rimane estranea al sistema l’idea della punizione e della sanzione del responsabile civile ed è indifferente la valutazione a tal fine della sua condotta. E’ quindi incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto dei danni punitivi che, per altro verso, non è neanche riferibile alla risarcibilità dei danni non patrimoniali o morali.

Tale risarcibilità è sempre condizionata all’accertamento della sofferenza o della lesione determinata dall’illecito e non può considerarsi provata in re ipsa. E’ inoltre esclusa la possibilità di pervenire alla liquidazione dei danni in base alla considerazione dello stato di bisogno del danneggiato o della capacità patrimoniale dell’obbligato”. In senso analogo si è espressa la già citata Cass. n. 1781 del 2012, la quale ha precisato che, altrimenti, vi sarebbe un arricchimento senza una causa giustificatrice dello spostamento patrimoniale da un soggetto all’altro (anche secondo Cass. n. 15814/2008, in linea generale, “nel vigente ordinamento il diritto al risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo non è riconosciuto con caratteristiche e finalità punitive ma in relazione all’effettivo pregiudizio subito dal titolare del diritto leso nè il medesimo ordinamento consente l’arricchimento se non sussista una causa giustificatrice dello spostamento patrimoniale da un soggetto ad un altro”). Secondo Cass., sez. un., n. 15350 del 2015, in tema di risarcibilità del cd. danno tanatologico, “i danni risarcibili sono solo quelli che consistono nelle perdite che sono conseguenza della lesione della situazione giuridica soggettiva e non quelli consistenti nell’evento lesivo, in sè considerato”; pertanto, “la progressiva autonomia della disciplina della responsabilità civile da quella penale ha comportato l’obliterazione della funzione sanzionatoria e di deterrenza (v., tra le tante, Cass. n. 1704 del 1997, n. 3592 del 1997, n. 491 del 1999, n. 12253 del 2007, n. 6754/2011) e l’affermarsi della funzione reintegratoria e riparatoria (oltre che consolatoria)”.

7.- E’ dubbio, tuttavia, se la funzione riparatoria-compensativa, seppur prevalente nel nostro ordinamento, sia davvero l’unica attribuibile al rimedio risarcitorio e se sia condivisibile la tesi che ne esclude, in radice, qualsiasi sfumatura punitiva-deterrente (una parte della dottrina, infatti, auspica un parziale recupero della categoria dell'”illecito civile”, cui si connette la funzione preventiva o deterrente del rimedio risarcitorio, quale strumento più adeguato per la tutela dei diritti fondamentali della persona);è anche dubbio se al riconoscimento di statuizioni risarcitorie straniere, con funzione sanzionatoria, possa opporsi un principio di ordine pubblico desumibile da categorie e concetti di diritto interno, finendo, in tal modo, per trattare la sentenza straniera come se fosse una sentenza di merito emessa da un giudice italiano (come rilevato dalla dottrina, espressasi in senso prevalentemente critico rispetto ai precedenti di questa Corte del 2007 e del 2012). E soprattutto, si dovrebbe dimostrare che la funzione del rimedio risarcitorio, attualmente configurato in termini esclusivamente compensatori, assurga al rango di un valore costituzionale essenziale e imprescindibile del nostro ordinamento, rispetto al quale (secondo la proposta metodologica delineata sub p. 4) non sarebbe consentito neppure al legislatore ordinario di derogarvi, conclusione questa cui, però, non si spinge neppure la citata Cass., sez. un., n. 15350 del 2015.

In realtà, si deve tenere conto sia dello scopo del giudizio delibatorio – che è di dare ingresso nell’ordinamento interno non alla legge straniera, ma ad una sentenza o ad un atto, nell’ambito di uno specifico rapporto giuridico, con limitata incidenza sul piano del diritto interno – sia della “evoluzione della tecnica di tutela della responsabilità civile verso una funzione anche sanzionatoria e deterrente” (come rilevato da Cass. n. 7613 del 2015 – che, nonostante le differenze, ha evidenziato i “tratti comuni” tra i punitive damages e le astraintes, queste ultime non implicanti alcuna incompatibilità con l’ordine pubblico – e da una parte della dottrina, la quale ha osservato che la funzione anche afflittiva del risarcimento del danno non patrimoniale non era estranea ai lavori preparatori del codice civile, nei casi di particolare intensità dell’offesa all’ordine giuridico).

E’ il segno della dinamicità o polifunzionalità del sistema della responsabilità civile, nella prospettiva della globalizzazione degli ordinamenti giuridici in senso transnazionale, che invoca la circolazione delle regole giuridiche, non la loro frammentazione tra i diversi ordinamenti nazionali.

8.- Tale evoluzione è testimoniata da numerosi indici normativi che segnalano la già avvenuta introduzione, nel nostro ordinamento, di rimedi risarcitori con funzione non riparatoria, ma sostanzialmente sanzionatoria. Si possono segnalare, a titolo solo esemplificativo, i seguenti:

– la L. 8 febbraio 1948, n. 47, art. 12, che, in materia di diffamazione a mezzo stampa, prevede il pagamento di una somma “in relazione alla gravità dell’offesa ed alla diffusione dello stampato”;

– l’art. 96 c.p.c., comma 3 (aggiunto dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45), che prevede la condanna della parte soccombente al pagamento di una “somma equitativamente determinata”, in funzione sanzionatoria dell’abuso del processo (nel processo amministrativo vd. il D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 26, comma 2,);

– l’art. 709 ter c.p.c. (inserito dalla L. 8 febbraio 2006, n. 54, art. 2), in base al quale, nelle controversie tra i genitori circa l’esercizio della responsabilità genitoriale o le modalità di affidamento della prole, il giudice ha il potere di emettere pronunce di condanna al risarcimento dei danni, la cui natura assume sembianze punitive;

– la L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 158 e, soprattutto, D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, art. 125 (proprietà industriale), che riconoscono al danneggiato un risarcimento corrispondente ai profitti realizzati dall’autore del fatto, connotato da una funzione preventiva e deterrente, laddove l’agente abbia lucrato un profitto di maggiore entità rispetto alla perdita subita dal danneggiato, sebbene il cons. 26 della direttiva CE (cd. Enforcement) 29 aprile 2004, n. 48 (sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale), attuata dal D.Lgs. 16 marzo 2006, n. 140 (v. art. 158), abbia precisato che “il fine non è quello di introdurre un obbligo di prevedere un risarcimento punitivo” (Cass. n. 8730 del 2011 ne ammette la “funzione parzialmente sanzionatoria, in quanto diretta anche ad impedire che l’autore dell’illecito possa farne propri i vantaggi”);

– il D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 187 undecies, comma 2, (in tema di intermediazione finanziaria), che prevede, nei procedimenti penali per i reati di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato, che la Consob possa costituirsi parte civile e “richiedere, a titolo di riparazione dei danni cagionati dal reato all’integrità del mercato, una somma determinata dal giudice, anche in via equitativa, tenendo comunque conto dell’offensività del fatto, delle qualità del colpevole e dell’entità del prodotto o del profitto conseguito dal reato”;

– il D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7 (artt. 3 – 5), che ha abrogato varie fattispecie di reato previste a tutela della fede pubblica, dell’onore e del patrimonio e, se i fatti sono dolosi, ha affiancato al risarcimento del danno, irrogato in favore della parte lesa, lo strumento afflittivo di sanzioni pecuniarie civili, con finalità sia preventiva che repressiva (il cui importo è determinato dal giudice sulla base dei seguenti criteri: gravità della violazione, reiterazione dell’illecito, arricchimento del soggetto responsabile, opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze dell’illecito, personalità dell’agente, condizioni economiche dell’agente).

Un’ultima notazione: quando l’illecito incide sui beni della persona, il confine tra compensazione e sanzione sbiadisce, in quanto la determinazione del quantum è rimessa a valori percentuali, indici tabellari e scelte giudiziali equitative, che non rispecchiano esattamente la lesione patita dal danneggiato. La recente Cass. n. 1126 del 2015 ha visto nella “gravità dell’offesa” un “requisito di indubbia rilevanza ai fini della quantificazione del danno non patrimoniale”.

9.- Queste le ragioni che inducono il Collegio a giudicare opportuno un intervento delle Sezioni Unite sul tema della riconoscibilità delle sentenze straniere comminatorie di danni punitivi.

La Corte, visto l’art. 374 c.p.c., comma 2, rimette gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, in quanto implicante la soluzione di una questione di massima di particolare importanza.

Così deciso in Roma, il 16 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2016.

Fonte: Cassazione: alle Sezioni Unite la risarcibilità dei danni punitivi (punitive damages)
(www.StudioCataldi.it)

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