Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 23 febbraio – 12 maggio 2016, n. 9758.
Il giudice può liquidare il danno subito dal lavoratore in via equitativa, spettando al datore di lavoro la prova contraria.
Tutte le volte in cui il datore di lavoro è obbligato ad assumere un lavoratore (per esempio: a termine del periodo di prova con esito positivo o al diritto alla priorità in caso di contratto di formazione e lavoro) e ciononostante non vi adempia, deve risarcirgli l’intero danno subìto durante tutto il periodo in cui si è protratto l’inadempimento medesimo. Detto danno può essere in concreto determinato – senza necessità di una specifica prova da parte del lavoratore – sulla base delle utilità che quest’ultimo avrebbe conseguito se fosse stato tempestivamente assunto. Spetta al datore di lavoro provare che il lavoratore, in tale periodo, ha conseguito altri redditi per una diversa occupazione (nel qual caso il risarcimento verrebbe ridotto) oppure la negligenza del lavoratore stesso nel cercare altra proficua occupazione. Lo ha chiarito la Cassazione con una recente sentenza [1].
Non sempre dunque, la prova del danno è a carico del lavoratore: il giudice gli può riconoscere un risarcimento in via equitativa, ossia secondo il suo prudente apprezzamento, quando detto danno non può essere dimostrato nel suo preciso ammontare. Spetta all’azienda inadempiente la prova contraria.
La quantificazione del danno viene effettuata in via equitativa quando esso non può essere provato nel suo preciso ammontare. L’esercizio di tale potere del giudice – conclude la Corte – è subordinato alla condizione che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, provare il danno nel suo preciso ammontare; ciò però non toglie che il danneggiato debba dimostrare l’esistenza del diritto.
Fonte: http://www.laleggepertutti.it/121156_se-il-datore-non-assume-il-dipendente-deve-risarcirgli-il-danno#sthash.oTDSJHwj.dpuf
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