Dopo un lungo dibattito, politico e mediatico, il giorno 25 febbraio l’Aula del Senato ha approvato il disegno di legge (ddl) in tema di unioni civili e patti di convivenza (la prima firmataria è stata la senatrice Monica Cirinnà, da cui prende il nome comunemente sentito di “ddl Cirinnà”) come risultante dalle modifiche apportate dal Governo con il maxi-emendamento presentato in data 24 febbraio a firma del Ministro Elena Boschi. Il testo adesso è all’esame della Camera (proposta di legge n. 3634) ed attende l’approvazione definitiva e la conversione in legge. Il presente contributo si ripropone di analizzare il contenuto del provvedimento, focalizzandosi in particolar modo sulla questione del contratto di convivenza.
Il Ddl c.d. Cirinnà è un disegno legge dalla rilevante portata, non solo giuridica ma anche politica e sociale, in quanto avente l’obiettivo di introdurre per la prima volta in Italia, e di conseguenza disciplinare, due nuovi istituti, ed in particolare:
l’unione civile tra persone dello stesso sesso quale “specifica formazione sociale”;
la convivenza di fatto, sia tra un uomo ed una donna che tra due persone dello stesso sesso: il ddl consente ai conviventi di disciplinare i loro rapporti patrimoniali mediante il contratto di convivenza.
Il disegno di legge va pertanto diviso in due parti in quanto vanno ben distinte le unioni civili che restano riservate alle sole coppie omosessuali, e le convivenze di fatto che invece si rivolgono alle tutte le coppie di fatto, non solo omosessuali ma anche eterosessuali, che hanno deciso di non contrarre un matrimonio (o, se dello stesso sesso, un’unione civile).
Le unioni civili rappresentano una novità assoluta nel panorama italiano, mentre il tema della convivenza di fatto e della necessità di regolamentare tali rapporti è oggetto di studio da qualche anno (si pensi agli accordi di convivenza, e la relativa proposta di legge, elaborati dal notariato alla fine del 2013) ed ha già avuto alcuni ed isolati riconoscimenti giuridici e politici (si pensi da ultimo alle previsioni in tema di prestito vitalizio ipotecario, per chi è convivente da almeno cinque anni, oppure ai registri delle coppie di fatto presenti in alcune città italiane).
Esaminiamo adesso i punti salienti dell’attuale disegno legge, distinguendo i due istituti e focalizzandoci in particolare sul contratto di convivenza. Partiamo, quindi, con l’analizzare l’istituto della convivenza di fatto.
La convivenza di fatto
Comunemente con il termine convivenza (o famiglia di fatto) si indica l’unione di due persone, anche dello stesso sesso, non fondata sul matrimonio. La Corte Costituzionale ha riconosciuto la convivenza quale formazione sociale tutelata a livello costituzionale; va tuttavia precisato come secondo la giurisprudenza (ex multis, Cass. 21 marzo 2013, n. 7214) la convivenza giuridicamente rilevante è solo quella caratterizzata da una tendenziale stabilità, una comunanza di vita e interessi e una reciproca assistenza morale e materiale.
Il legislatore si è occupato della convivenza solo in maniera sporadica (si pensi all’art. 30 L.354/1975, che consente la visita in carcere convivente in pericolo di vita, all’art. 337-sexies c.c., in base al quale il godimento casa familiare viene meno se l’affidatario del figlio conviva more uxorio, o ancora all’art. 408 c.c. che ricomprende la persona stabilmente convivente tra i soggetti che il giudice deve preferire nella nomina dell’amministratore di sostegno). Manca, cioè, una visione organica del fenomeno.
La proposta di legge in esame mira proprio a colmare tale lacuna, e per la prima volta ricollega alla semplice convivenza di fatto (che presenti taluni connotati “minimi”) una serie di diritti a vantaggio di ciascun convivente, sia nei confronti dei terzi che nei confronti dell’altro convivente.
Cos’è: ai sensi del ddl in esame la convivenza è giuridicamente rilevante laddove essa si instauri
tra due persone maggiorenni (dello stesso sesso o di sesso diverso);
unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale;
coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune (ai sensi dell’art. 4 d.p.r. 223/1989);
tra loro non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile.
In quanto situazione di fatto, la convivenza non richiede una sua formalizzazione (a differenza, quindi, delle unioni civili), ma è evidente che la sua rilevanza giuridica impone necessariamente un suo accertamento: a tal fine il ddl richiama il concetto di famiglia anagrafica di cui all’art. 4 del d.p.r. 223/1989, e richiede pertanto che vi sia una coabitazione risultante da un certificato di stato di famiglia.
Rapporti personali: la convivenza non genera, così come sinora accaduto, alcun fascio di diritti e doveri reciproci tra i conviventi di fatto per ciò che concerne i loro rapporti personali.
I diritti inerenti la tutela della persona: il ddl estende al convivente taluni diritti e poteri sinora prerogativa dei soli coniugi, ed in particolare riconosce a ciascun convivente
gli stessi diritti spettanti al coniuge nei casi previsti dall’ordinamento penitenziario (estendendo la limitata tutela già riconosciuta dalla legge 26 luglio 1975, n. 354);
il diritto di visita, di assistenza nonché di accesso alle informazioni personali, secondo le regole di organizzazione delle strutture ospedaliere o di assistenza pubbliche, private o convenzionate, previste per i coniugi e i familiari in caso di malattia o di ricovero;
il potere di conferire, in forma scritta e autografa (oppure, in caso di impossibilità di redigerla, alla presenza di un testimone) un mandato con il quale designare l’altro convivente quale rappresentante con poteri pieni o limitati:
a) in caso di malattia che comporta incapacità di intendere e di volere, per le decisioni in materia di salute (c.d. testamento di vita);
b) in caso di morte, per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie (c.d. mandato post mortem exequendum);
la possibilità di essere nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno (nonché di essere indicato ex art. 712 c.p.c. nella domanda per l’interdizione, inabilitazione o per la nomina dell’amministratore di sostegno).
I diritti sulla casa di abitazione: tipizzando a livello normativo taluni orientamenti giurisprudenziali che già riconoscevano al convivente superstite la qualifica di detentore qualificato (Trib. Milano 8 gennaio 2003) e che estendevano al convivente il diritto di subentrare nel contratto di locazione in caso di morte del conduttore (ma non anche di semplice cessazione della convivenza), il ddl prevede – fatto salvo quanto previsto dall’articolo 337-sexies c.c. per l’assegnazione della casa familiare (applicabile in presenza di figli minori anche ai conviventi) – che
a) in caso di morte del convivente proprietario della casa di comune residenza il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni (che diventano tre anni ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite) o per un periodo pari alla convivenza, se superiore, e comunque non oltre i cinque anni. Il diritto in ogni caso viene meno nel caso in cui il convivente superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza ovvero contragga matrimonio, unione civile o intraprenda una nuova convivenza di fatto.
Non viene invece prevista alcuna tutela per l’ipotesi di “rottura” del rapporto di convivenza, cui può comunque ovviarsi attraverso apposite previsioni contrattuali, già elaborate dalla prassi (come ad esempio l’attribuzione al convivente non titolare dell’immobile di una quota di comproprietà ovvero un diritto reale di godimento).
b) in caso di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente ha facoltà di succedergli nel contratto.
Il diritto di preferenza nell’assegnazione di alloggi di edilizia popolare: secondo il ddl nel caso in cui l’appartenenza ad un nucleo familiare costituisca titolo o causa di preferenza nelle graduatorie per l’assegnazione di alloggi di edilizia popolare, di tale titolo o causa di preferenza possono godere, a parità di condizioni, i conviventi di fatto.
Il diritto a partecipare ad un’impresa familiare: il ddl, superando le chiusure della giurisprudenza, estende al convivente di fatto la disciplina propria dell’impresa familiare, e propone l’inserimento nel codice civile un nuovo articolo 230-ter in base al quale riconoscere al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente (e tale collaborazione non derivi da un rapporto di lavoro subordinato o di società) una partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato.
Il diritto al risarcimento del danno in caso di morte derivante da fatto illecito: recependo orientamenti giurisprudenziali oramai consolidati il ddl equipara la convivenza di fatto al rapporto coniugale ai fini del risarcimento del danno in caso di decesso del compagno.
Il diritto agli alimenti in caso di cessazione della convivenza: in caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice può riconoscere al convivente il diritto di ricevere dall’altro convivente gli alimenti, per un periodo proporzionale alla durata della convivenza medesima, in presenza degli stessi presupposti e nelle misure già previste dall’art.438 c.c., e precisamente laddove egli
a) versi in stato di bisogno, e
b) non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento.
Ai fini della determinazione dell’ordine degli obbligati ai sensi dell’articolo 433 del codice civile, l’obbligo alimentare del convivente è anteposto a quello che grava sui fratelli e sorelle della persona in stato di bisogno.
I diritti successori: la convivenza rimane ancora irrilevante dal punto di vista successorio (a differenza di quanto previsto in tema di unioni civili). Pertanto nessun diritto spetta ex lege al convivente in caso di morte del compagno, né il ddl in esame ha pensato di agevolare, sotto il profilo fiscale, eventuali donazioni o lasciti testamentari tra i conviventi (che, essendo tra loro estranei, sconterebbero la massima aliquota).
I rapporti patrimoniali tra conviventi: il contratto di convivenza
Il ddl consente ai conviventi di disciplinare in via programmatica i loro rapporti patrimoniali mediante la sottoscrizione di un apposito contratto che – in linea con le elaborazioni sinora compiute dal notariato in materia – è definito contratto di convivenza.
La forma e i requisiti di validità: il contratto è redatto in forma scritta, a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato che ne attestano la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico.
Per garantirne l’opponibilità a terzi il professionista che autentica o riceve l’atto deve provvedere, entro dieci giorni, a trasmettere copia del contratto al comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe ai sensi del regolamento di cui al d.p.r. 223/1989.
Il contratto di convivenza è affetto da nullità insanabile se concluso:
a) in presenza di un vincolo matrimoniale, di un’unione civile o di un altro contratto di convivenza;
b) in violazione del comma 36 (cioè tra non conviventi ai sensi del ddl);
c) da persona minore di età;
d) da persona interdetta giudizialmente;
e) in caso di condanna per il delitto di cui all’articolo 88 c.c. (in base al quale non possono contrarre matrimonio tra loro persone delle quali l’una è stata condannata per omicidio consumato o tentato sul coniuge dell’altra).
I suoi effetti rimangono invece sospesi in pendenza del procedimento di interdizione giudiziale o nel caso di rinvio a giudizio o di misura cautelare disposti per il descritto delitto di cui all’articolo 88 c.c., sino alla pronuncia di proscioglimento.
Il contenuto: il contratto può contenere:
a) l’indicazione della residenza comune;
b) le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo;
c) la scelta del regime patrimoniale della comunione dei beni (che dunque in questo caso non richiederebbe necessariamente la forma di cui all’art. 163 c.c.).
Il contratto non tollera l’apposizione di termini o condizioni (che, ove previsti, si hanno per non apposti) e può essere modificato – anche relativamente al regime patrimoniale prescelto – in qualunque momento con le medesime forme richieste per la sua sottoscrizione.
La norma non chiarisce se sia possibile ampliare il contenuto del contratto elencato al comma 53 con previsioni, per così dire, “atipiche” (come ad esempio quelle relative alla suddivisione delle spese per il mantenimento dei figli) ovvero se simili pattuizioni, certamente legittime, rimangano accordi liberamente sottoscrivibili dai conviventi, al di fuori, cioè, delle regole dei contratti in esame.
Ne rimangano invece certamente escluse pattuizioni volte a disciplinare i loro rapporti personali (per cui non si potrà, ad esempio, prevedere nel contratto di convivenza un obbligo di coabitazione ovvero un obbligo di fedeltà) e la loro successione (alla luce del divieto dei patti successori).
La risoluzione del contratto: il contratto di convivenza si risolve per
a) accordo delle parti (nelle forme prescritte per la sua sottoscrizione);
b) recesso unilaterale da esercitarsi con dichiarazione ricevuta da notaio o autenticata da notaio o avvocato; in questo caso il professionista che riceve o che autentica l’atto è tenuto a notificarne copia all’altro contraente all’indirizzo risultante dal contratto. Si prevede infine che, nel caso in cui la casa familiare sia nella disponibilità esclusiva del recedente, la dichiarazione di recesso, a pena di nullità, deve contenere il termine, non inferiore a novanta giorni, concesso al convivente per lasciare l’abitazione;
c) matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed altra persona (il contraente che ha contratto matrimonio o unione civile deve notificare all’altro contraente, nonché al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza, l’estratto di matrimonio o di unione civile);
d) morte di uno dei contraenti (il contraente superstite o gli eredi del contraente deceduto devono notificare al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza l’estratto dell’atto di morte affinché provveda ad annotare a margine del contratto di convivenza l’avvenuta risoluzione del contratto e a notificarlo all’anagrafe del comune di residenza).
Laddove i conviventi avessero adottato il regime patrimoniale della comunione dei beni, la sua risoluzione determina lo scioglimento della comunione medesima e l’applicazione, nei limiti della compatibilità, delle previsioni del codice civile per lo scioglimento della comunione legale tra coniugi.
Il diritto internazionale privato: al fine di disciplinare il conflitto di norme applicabili ad una convivenza tra soggetti aventi nazionalità diversa, il ddl prevede (mediante l’inserimento di un art. 30-bis nella legge 218/1995) che in simili ipotesi si debba applicare – salve le norme nazionali, europee ed internazionali che regolano il caso di cittadinanza plurima – la legge del luogo in cui la convivenza è prevalentemente localizzata.
Unione civile
Per completezza, esaminiamo ora l’istituto dell’unione civile.
Cos’è e come si costituisce: è una specifica formazione sociale da inserire nel diritto di famiglia insieme al matrimonio, distinguendosi ovviamente dallo stesso ma allo stesso equiparata per molti dei diritti e doveri previsti.
Possono costituirle solo persone maggiorenni dello stesso sesso con dichiarazione resa di fronte ad un ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni e certificata dal relativo documento attestante l’intervenuta unione civile; il certificato di costituzione dell’unione civile (contenente i dati anagrafici e di residenza delle parti nonché il regime patrimoniale dalle stesse scelto) andrà poi, a cura dell’ufficiale di stato civile, registrato presso l’archivio comunale dello stato civile. Se una delle parti è straniera si applica l’art. 116, co. 1°, c.c. (in base al quale lo straniero che vuole contrarre matrimonio nella Repubblica deve presentare all’ufficiale dello stato civile una dichiarazione dell’autorità competente del proprio paese, dalla quale risulti che giuste le leggi a cui è sottoposto nulla osta al matrimonio).
Le parti non possono derogare ai diritti ed ai doveri che derivano dalla loro unione civile. La forte tendenza del ddl ad equiparare giuridicamente tale nuovo istituto al matrimonio è espressa non solo dal richiamo a numerose norme del codice civile (specie in tema di rapporti patrimoniali e successori) ma in particolare dal suo punto 20 che, al fine di rendere effettivi tali diritti ed adempiuti tali doveri, stabilisce come «le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso». Ne deriva che a tutte le norme infra richiamate alla parola “coniuge” andrà sostituita quella di “parte dell’unione civile”. Eloquente a tal fine il punto 27 secondo il quale nell’ipotesi in cui il cambiamento di sesso di uno dei coniugi non abbia portato gli stessi a sciogliere il matrimonio ne deriverà tra loro «l’automatica instaurazione dell’unione civile» in quanto ormai persone con lo stesso sesso.
Resta fermo che non potranno applicarsi all’unione civile le norme del codice civile non richiamate espressamente e neanche quelle in tema di adozioni; al riguardo è bene ricordare come il maxi-emendamento governativo sopra citato abbia escluso il contestato meccanismo della stepchild adoption, letteralmente “adozione del figliastro”, contenuto nella versione originaria del ddl, ossia la possibilità per le persone che hanno contratto l’unione civile di adottare il figlio del proprio partner.
Rapporti personali: con la costituzione dell’unione civile le parti, come i coniugi nel matrimonio, acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri, in particolare:
sono reciprocamente obbligate all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione (diritto sospeso in caso di allontanamento dalla comune residenza ex art. art. 146 c.c.); il maxi-emendamento ha invece stralciato dal ddl l’originaria previsione dell’obbligo di fedeltà;
sono entrambe tenute, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità lavorativa (anche casalinga), a contribuire ai bisogni comuni;
concordano insieme l’indirizzo della vita familiare ed a ciascuna di esse spetta il potere di attuarlo;
fissano la residenza comune.
Altra importante previsione in tema di rapporti personali è quella inerente il cognome: in sede di dichiarazione all’ufficiale di stato civile le parti possono stabilire di assumere, per la durata dell’unione civile, un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi (in tal caso la parte può anteporre o posporre al cognome comune il proprio cognome).
Rapporti patrimoniali: nel silenzio delle parti si applica il regime della comunione legale (come avviene per il matrimonio), fermo restando la possibilità per le stesse di optare per il regime della separazione dei beni non solo al momento della dichiarazione dinanzi all’ufficiale di stato civile, ma anche successivamente per mezzo di una convenzione patrimoniale alla quale si applicano tutte le regole (di sostanza e di forma) previsti dagli articoli 162, 163, 164 e 166 del codice civile in tema di convenzioni matrimoniali.
Rilevante è il richiamo all’applicazioni delle norme di cui alle sezioni II, III, IV, V e VI del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile, ossia l’intero pacchetto normativo dei rapporti patrimoniali tra coniugi: in forza di tale richiamo le parti di un’unione civile potranno, al pari dei coniugi, non solo optare tra la comunione e la separazione dei beni, ma anche costituire un fondo patrimoniale o un’impresa familiare (richiamate anche le collegate norme degli artt. 2647, 2653, co. 1°, n. 4, e 2659 c.c.). Si applica anche la normativa in tema di alimenti prevista in favore del coniuge dagli artt. 433 e ss. c.c.
Rapporti successori: alle parti dell’unione civile si applicano le norme in tema di indegnità (artt. 463-466 c.c.), di diritti riservati ai legittimari (artt. 536-564 c.c.), di successioni legittime (artt. 565-586 c.c.), di collazione (artt. 737-751 c.c.) e di patto di famiglia (artt. 768-bis- 768-octies). Ogni riferimento al coniuge contenuto nelle norme sopra richiamate dovrà conseguentemente essere inteso come riferito anche alla parte dell’unione civile. Inoltre la parte dell’unione civile superstite ha diritto alla morte dell’altro all’indennità di preavviso ed a quella di fine rapporto ai sensi degli artt. 2118 e 2120 c.c.
Tutela della persona: nella scelta dell’amministrazione di sostegno il giudice tutelare preferisce, ove possibile, l’altra parte dell’unione civile, così come la stessa è legittimata a promuovere un procedimento di interdizione o inabilitazione e chiederne la revoca.
Cause di invalidità e di scioglimento: Le cause di invalidità dell’unione sono le stesse del matrimonio (richiamati gli artt. 119, 120, 123, 125, 126, 127, 128, 129 e 129-bis c.c.). Inoltre anche per l’unione civile sono cause di impugnazione la violenza e l’errore. Tra le cause impeditive per la costituzione di un’unione civile vi è la sussistenza per una delle parti di un matrimonio o di un’unione civile con altra persona dello stesso sesso.
Le cause di scioglimento sono:
a) la morte;
b) i casi previsti dalla legge sul divorzio;
c) la volontà, anche di una sola delle parti, manifestata dinanzi l’ufficiale dello stato civile che annota tale domanda nel registro delle unioni trascorsi tre mesi dalla data di manifestazione;
d) la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso (in questo caso infatti le parti non sarebbero più dello stesso sesso).
Si applicano in quanto compatibili le norme procedurali in tema di divorzio e di negoziazione assistita degli avvocati.
Delega: il Governo è chiamato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più d.lgs. per coordinare quanto contenuto nella presente legge con le altre leggi, regolamenti e decreti, ed in particolare adeguare alle unioni civili le normative in materia di stato civile e diritto internazionale privato.
Fonte: http://www.altalex.com/documents/news/2016/04/07/i-rapporti-patrimoniali-tra-conviventi-il-contratto-di-convivenza
Foto: http://www.altrementiblog.it/unioni-civili-una-lotta-retrograda-per-un-passo-in-avanti/